IL RESTAURO DEL PAESAGGIO
Dalla tutela delle bellezze naturali e panoramiche alla governance territoriale paesaggistica
Franceso Gurrieri, Silvio Van Riel, Mario Paolo Semprini
Alinea Editrice s.r.l.
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Restauro problemi di metodo / 206
2005
Scrivo queste brevi considerazioni da un luogo privilegiato dell’astronave
Terra: da un angolo felice del Costa Rica, un paese profondamente
connotato per la sua natura, rigoglioso nel verde e generoso nella
fauna che, ad oggi, ha conservato tanti aspetti da noi perduti.
Qui i parchi naturali abbondano e della “natura naturale”
si è fatta una crescente e intelligente politica economica.
Così, la distanza dalla vecchia Europa permette di riflettere
e valutare con maggior equilibrio, questa non facile avventura del
“restauro del paesaggio”.
Appare di tutta evidenza che la messa a punto e la crescita di una
siffatta disciplina - preposta a riparare i danni della parte più
delicata del nostro habitat - il “paesaggio”, appunto
- non può non confliggere con posizioni accademiche e con
prassi professionali consolidate; così come non può
non toccare alcuni settori dediti all’investimento immobiliare,
non certo molto attenti alla invocata “sostenibilità”
e al predicato contenimento dell’uso di “nuovo suolo”.
Conviene dunque affrontare subito il problema, cercando di cogliere
i prevedibili punti di conflitto: i quali si collocano nell’esercizio
urbanistico tout-court da una parte e nelle invocate competenze
specialistiche degli architetti del paesaggio dall’altra.
Gli uni e gli altri - urbanisti e paesaggisti - hanno le loro corporazioni
(anche se negli ultimi anni il maturare di differenti correnti di
pensiero ha creato qualche sommovimento) e non riserveranno certo
immediate simpatie al “restauro del paesaggio”. E allora,
con umiltà ma anche con risolutezza, va ricordato come questa
erigenda disciplina non vuol confliggere con altre preesistenti
ma definire uno spazio autonomo, valendosi delle metodiche del restauro,
lavorando ove altri non sono arrivati. Si vuol dire che il “paesaggismo”
di altri nasce come modellazione-progettazione di un nuovo ambiente,
di una nuova realtà, tesa a corrispondere a sopraggiunte
necessità (la nuova “domanda”); e che l’urbanistica
e la pianificazione nascono, crescono e si affermano per le loro
proposizioni di nuovo ordine, di nuovo assetto, di nuova percorribilità,
di nuovi rapporti funzionali fra le diverse parti del territorio.
E se è anche vero che, negli ultimi decenni, l’introduzione
delle politiche del “recupero” e del “riuso”
(per le quali è ben difficile obiettare la loro matrice “restaurativa”)
si sono fatte più avvertibili, ciò non sembra spostare
o confliggere con le metodiche del “restauro del paesaggio”.
Si potrebbe obiettare che anche il paesaggio si può recuperare
piuttosto che restaurare (e così ricondurre l’operazione
nell’ambito dell’urbanistica), ma la differenza sta,
appunto, fra la monovocalità dell’urbanistica e la
plurivocalità del restauro (da sempre abituato, all’intero
spettro del suo svolgersi, alla pluridisciplinarità, dalla
fase diagnostica a quella terapeutica).
Insomma, il rischio è quello di ritrovarsi in una querelle
già attraversata negli ultimi anni, tesa a sovvertire aspetti
e competenze istituzionali profilate e consolidate secondo una autonoma
cultura, cercando di ricondurre l’intervento restaurativo
alla unicità operativa dell’architetto. Col generale
risultato che non poche architetture degne di conservazione sono
diventate campo di sperimentazione non solo dello star-system ma,
cosa ben più grave, dei loro numerosi e aggressivi emuli.
Detto questo, potremmo avere la sensazione di essere “punto
e da capo” nella querelle di cui non vediamo la fine e che,
in Italia, dura almeno dal litigio intellettuale fra Gustavo Giovannoni
e Marcello Piacentini. I “piacentiniani”, bonnes à
tout faire, facciano dunque le loro progettazioni ambientali, urbane,
urbanistiche e paesaggistiche; noi “giovannoniani” continueremo
a credere nella ricchezza disciplinare del restauro e proveremo
ad estenderla intanto, dal monumento al paesaggio. Con umiltà,
appunto, ma con decisione.
I contributi qui raccolti - dei cui limiti siamo ben coscienti - sono da con-siderare traiettorie di avvicinamento, primi elementi che, con gli “Atti” dei nostri primi convegni, vogliono concorrere ad una progressiva definizione disciplinare. Ci muoviamo in una ragionevole sintonia con chi avvertì con priorità il problema della “conservazione del paesaggio”: con Riegl, Ruskin e Boito; con Giovannoni, Brandi, Pane, Sanpaolesi e Barbacci (è suo “Il guasto nella città antica e nel paesaggio”); ma anche con i più vicini Salvatore Boscarino e Gaetano Miarelli Mariani, fra i più attenti a ricordare e sottolineare l’inscindibile binomio fra testo monumentale e paesaggio, nella loro organica reciprocità.
F.G.
Palmares di Costa Rica, luglio 2005